Ehi, mi ricordo di te, ti ho visto contro Holy Cross”. Per anni, Travis Diener se l’è sentito dire da chiunque incontrasse. La gente non si ricordava nemmeno di quanti punti avesse segnato o di quanti assist avesse servito. E’ l’effetto della “March Madness” del college basketball, l’evento che catalizza l’attenzione del mondo sportivo americano nel mese di marzo e che, negli anni, ha visto protagonisti anche alcuni giocatori che oggi vestono la maglia della Vanoli.
Diener ne segnò 29, evitò a Marquette la figuraccia di perdere contro la testa di serie n° 14, Holy Cross, e lanciò i Golden Eagles verso la Final Four che mancava dal 1977. Quella Marquette, stagione 2002/2003, era la squadra di Travis Diener e Dwyane Wade, poi divenuto una stella NBA di prima grandezza, e fermò la propria corsa in semifinale, contro la Kansas di Keith Langford. Più di recente, nel 2015, la March Madness è stato il palcoscenico sul quale Wesley Saunders si mise in luce con 26 punti che portarono Harvard, testa di serie n° 13 dalla Ivy League (“la lega dei secchioni”), ad un passo dall’impresa contro la potenza North Carolina, vincente 67-65 con l’ultimo tiro di Wes sul ferro.
Ancora più singolare la storia di Mangok Mathiang, che arrivò a Louisville nella stagione del 2012/2013, quella dell’ultimo titolo vinto dai Cardinals di Rick Pitino: “Mango” fece parte di quel gruppo anche se, per i regolamenti NCAA, potè scendere in campo solo dalla stagione seguente, e nel 2015 arrivò fino alle Elite Eight. In quel torneo c’era anche un Peyton Aldridge al suo primo anno di college; allora, come l’anno scorso, “PJ” con Davidson College uscì al primo turno, rispettivamente contro Iowa e Kentucky. L’esperienza al torneo NCAA manca solo a Drew Crawford, che nel 2013 avrebbe potuto godere di un transfer verso università più prestigiose, ma rimase fedele alla piccola Northwestern.